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Inammissibile l’accesso civico se viene richiesta un’attività di elaborazione dati

È legittimo il diniego del Comune ad una richiesta di accesso civico che richiede una vera e propria attività di elaborazione dati, inconciliabile con la natura di tale forma di accesso che, come è noto, riguarda atti esistenti: è quanto affermato dal TAR Lombardia, Brescia, sez. II, nella sent. 3 dicembre 2021, n. 1015.

Nel caso specifico, un cittadino aveva chiesto di conoscere, in materia di contributi statali contro la pandemia Covid-19, di conoscere “come tali risorse sono state spese o impegnate, con l’indicazione specifica, per le singole spese o impegni di spesa, dei codici delle relative missioni e dei relativi programmi, nonché con l’indicazione della denominazione del programma e soprattutto della descrizione specifica del programma”: in sintesi, l’accesso riguardava una rendicontazione che non solo risultava più gravosa di quella richiesta dallo Stato ma non ancora disponibile al momento della richiesta, visto che la scadenza per la rendicontazione era ancora lontana.

Secondo i giudici, posto che le risorse assegnate al Comune per interventi di sostegno di carattere economico e sociale connessi con l’emergenza sanitaria da COVID-19 erano confluite nel bilancio comunale ed impiegate, congiuntamente con risorse già a disposizione dell’ente, per il finanziamento di una pluralità di interventi, l’evasione della richiesta di accesso avrebbe richiesto un’attività di elaborazione (finalizzata a disaggregare i dati relativi alle macroaree in cui i fondi hanno avuto impiego) non compatibile con l’accesso, che è strumentale all’esibizione di documenti già esistenti, ma non può imporre all’Amministrazione un facere ulteriore rispetto alla mera divulgazione delle informazioni detenute. L’ente, infatti, con riferimento all’impiego delle risorse in questione, aveva adottato oltre settanta impegni di spesa e avrebbe dovuto, per adempiere alla richiesta, interessare tutti gli uffici comunali per individuare le delibere e le determine che, pur non essendo direttamente riconducibili a misure di sostegno collegate alla pandemia, avevano visto l’utilizzo dei fondi Covid per rafforzare interventi e progetti.

Quindi, l’istanza di accesso è stata legittimamente respinta e l’interessato, secondo i giudici, “avrebbe dovuto limitarsi a richiedere l’esibizione di atti già formati, in conformità al principio giurisprudenziale per cui l’amministrazione non è tenuta, nel caso di istanze di accesso manifestamente onerose, a effettuare una attività di elaborazione dei dati o documenti richiesti, non essendo previsto un obbligo in tal senso nella normativa vigente (tra le altre Tar Lazio, sez. III-bis, 27 luglio 2017, n. 9023, e Tar Emilia-Romagna, sez. II, 3 ottobre 2017, n. 645)”. Tanto più che le deliberazioni e le determine dirigenziali oggetto di accesso erano documenti già soggetti al generalizzato obbligo di pubblicazione, con conseguente possibilità di ciascun interessato di prenderne visione e scaricarne copia.