Gli enti locali non possono ricorrere al debito per soddisfare in modo illimitato le loro necessità ed esigenze, anche per spese di investimento, ma sono tenuti ad utilizzare questa risorsa per un importo massimo, non stabilito in cifra assoluta ma in base ad un parametro finanziario correlato all’ammontare delle entrate correnti: è quanto ricordato dalla Corte dei conti, sez. reg. di controllo per la Lombardia, nella delib. n. 246/2021/PRSP, depositata lo scorso 22 ottobre.
Lo scopo di questa disciplina è di evitare che vengano assunti impegni relativi alla restituzione del capitale e degli interessi ai quali l’Ente può non essere in grado, in futuro, di far fronte; al riguardo non si deve dimenticare che sia il rimborso del capitale che il pagamento degli interessi gravano sulle spese correnti ed influenzano la determinazione degli equilibri finanziari complessivi previsti dall’art. 162, comma 6, del T.U.E.L. (Decreto Legislativo n. 267/2000).
Pertanto, la disciplina in questione è diretta ad impedire che l’indebitamento diventi un fattore incontrollabile di crescita della spesa corrente, capace di riflettersi sui bilanci futuri dell’Ente, creando condizioni di squilibrio finanziario.
L’art. 204 del T.U.E.L., in sostanza, individua un parametro per verificare la sana gestione finanziaria dell’Ente al fine di verificare la sostenibilità del debito che l’Ente si è assunto. Conseguentemente, la sua eventuale violazione costituisce grave irregolarità contabile.
La norma del T.U.E.L. consente che l’ente locale possa assumere nuovi mutui e accedere ad altre forme di finanziamento reperibili sul mercato solo se l’importo annuale degli interessi sommato a quello dei mutui precedentemente contratti, a quello dei prestiti obbligazionari precedentemente emessi ed a quello derivante da garanzie prestate, al netto dei contributi statali e regionali in conto interessi, non sia superiore ad una determinata percentuale delle entrate relative ai primi tre Titoli delle entrate del rendiconto del penultimo anno precedente quello in cui viene prevista l’assunzione dei mutui.
A far data dal primo gennaio 2007 il tetto di cui all’art. 204, primo comma, T.U.E.L. era stato fissato, dall’art. 1, comma 698, della Legge n. 296/2006, al 15%; all’inizio dell’esercizio 2011 (Legge n. 220/ 2010, come modificata dal DL n. 225/2010, convertito dalla Legge n. 10/2011), il legislatore aveva limitato la possibilità di ricorrere a nuovo debito, prevedendo questa facoltà solo per gli enti la cui spesa per interessi, calcolata secondo quanto previsto dal T.U.E.L., non superasse “il 10 per cento per l’anno 2012 e l’8 per cento a decorrere dall’anno 2013”.
In seguito, la legge di stabilità per il 2012 (art. 8, comma 1, della Legge 12 novembre 2011, n. 183) ha reso ancora più stringenti tali limiti, riducendo le percentuali previste per gli esercizi 2012 e 2013, rispettivamente all’8% e al 6% e previsto il limite del 4% a partire dal 2014; successivamente, il comma in discorso è stato modificato dall’art. 1, comma 735, della legge di stabilità n. 147/2013, stabilizzando, nel periodo 2012-2014, la percentuale del rapporto fra oneri per interessi ed entrate correnti al 8%: a partire dal 2015, detta percentuale aumenta, stabilizzandosi, al 10% (ex art. 1, comma 539, della Legge n. 190/2014).