Il reiterato ricorso ad una serie di entrate di carattere straordinario non realizzabili e/o di irragionevole quantificazione, nonostante i pareri contrari dell’organo di revisione e del responsabile del servizio finanziario, determina la responsabilità degli amministratori (ex art. 248, comma 5, del TUEL – Decreto Legislativo n. 267/2000) quale contributo causale al conseguente dissesto del Comune: è quanto affermato dalla Corte dei conti, sez. giurisdizionale Calabria, nella sent. n. 215/2021, depositata lo scorso 3 agosto.
Nel caso specifico, gli amministratori avevano indicato, tanto nel bilancio di previsione quanto in sede di rimodulazione di un piano di riequilibrio, quali entrate utilizzabili per la copertura del disavanzo ed il recupero degli equilibri, quelle conseguenti agli oneri di urbanizzazione (peraltro sovrastimati), all’alienazione di immobili (mai realizzata negli anni) e all’incasso di arretrati relativi ai canoni ricognitori, tutte considerate entrate fittizie dai giudici.
Secondo la Corte, detti comportamenti hanno agevolato il successivo dissesto dell’ente locale, aggiungendosi ad altre criticità esistenti (in primis, il sistematico ricorso all’anticipazione di tesoreria, quale mezzo di finanziamento ordinario dell’Ente.
L’iscrizione a bilancio di entrate fittizie, come evidenziato dai giudici, è una palese violazione del principio contabile di prudenza, che, com’è noto, impone di iscrivere solo quelle componenti positive che ragionevolmente possano essere disponibili nel periodo amministrativo considerato; detta condotta, peraltro, deve considerarsi gravemente colposa, sia perché posta in contrasto con i motivati pareri degli organi tecnici, sia in quanto l’iscrizione in bilancio di entrate sostanzialmente fittizie costituisce una grave trascuratezza dei doveri istituzionali degli amministratori, che impongono invece un comportamento costantemente attento e prudente nella gestione delle risorse pubbliche.