Procedimento penale pendente in capo al concorrente: l’esclusione dalla gara non è automatica
La pendenza di un procedimento penale o la rilevanza penale dei fatti contestati dalla stazione appaltante non conducono ad un’espulsione automatica e la stazione appaltante deve procedere alla valutazione dell’incidenza di tali fatti e circostanze sulla professionalità dell’operatore economico e, ove a seguito di tale valutazione si disponga l’esclusione del concorrente, deve essere fornita adeguata motivazione delle ragioni di tale decisione: è quanto ribadito dal TAR Sardegna, sez. I, nella sent. 13 maggio 2021, n. 345, sulla scia di un consolidato orientamento (cfr. Consiglio di Stato, sez. V, sent. 3 settembre 2018, n. 5142; TAR Lombardia, Milano, sez. I, sent. 27 gennaio 2021, n. 247).
La non automatica esclusione e la necessità di una valutazione caso per caso si rinvengono nell’esegesi dell’art. 80, comma 5, lett. c), del Codice dei contratti pubblici (Decreto Legislativo n. 50/2016), secondo cui “Le stazioni appaltanti escludono dalla partecipazione alla procedura d’appalto un operatore economico in una delle seguenti situazioni, anche riferita a un suo subappaltatore nei casi di cui all’articolo 105, comma 6, qualora: … c) la stazione appaltante dimostri con mezzi adeguati che l’operatore economico si è reso colpevole di gravi illeciti professionali, tali da rendere dubbia la sua integrità o affidabilità”; siamo dinanzi ad una norma avente la finalità di assicurare l’affidabilità di chi si propone quale contraente, requisito che si ritiene effettivamente garantito solo se si allarga il panorama delle informazioni, comprendendo anche le evenienze patologiche contestate da altri committenti.
L’ampiezza della formulazione della richiamata disposizione conduce a ricomprendere nella nozione di “grave illecito professionale” – ferma restando la necessaria valutazione discrezionale della stazione appaltante – ogni condotta, collegata all’esercizio dell’attività professionale, contraria ad un dovere posto da una norma giuridica sia essa di natura civile, penale o amministrativa (Consiglio di Stato, sez. V, sent. 24 gennaio 2019, n. 591).
La Corte di Giustizia U.E., con sentenza 18 dicembre 2014, n. 470, ha puntualizzato che la nozione di “errore nell’esercizio dell’attività professionale” attiene a “… qualsiasi comportamento scorretto che incida sulla credibilità professionale dell’operatore e non soltanto le violazioni delle norme di deontologia in senso stretto della professione cui appartiene tale operato”.
Qualsiasi condotta, di cui venga contestata dall’Autorità la contrarietà alla legge e collegata all’esercizio dell’attività professionale, è di per sé potenzialmente idonea ad incidere sul processo decisionale rimesso alle stazioni appaltanti sull’accreditamento dei concorrenti come operatori complessivamente affidabili (Consiglio di Stato, sez. III, sent. 29 novembre 2018, n. 6787), a prescindere dall’esito dell’eventuale procedimento penale instaurato.