Concessioni di gestione dei servizi di accertamento e riscossione a “canone fisso”: l’IFEL chiarisce
Lo scorso 25 febbraio l’IFEL ha pubblicato una nota esplicativa in materia di affidamenti in concessione del servizio di accertamento e riscossione secondo la formula corrispettiva del c.d. “canone fisso”, tipicamente adottato da molti enti di piccola dimensione nella gestione della pubblicità comunale (link: https://www.fondazioneifel.it/ifelinforma-news/item/10586-nota-di-chiarimento-ifel-sulle-concessioni-di-gestione-dei-servizi-di-accertamento-e-riscossione-c-d-a-canone-fisso).
In tali casi, in luogo di una remunerazione basata sull’aggio o su una diversa specifica remunerazione del servizio di gestione dell’entrata, il concessionario trattiene le somme riscosse a fronte del pagamento al Comune di un canone concessorio prestabilito.
In particolare, l’IFEL si è soffermata sul possibile contrasto di questa modalità contrattuale con le prescrizioni dell’art. 2-bis del DL n. 193/2016, che dispongono il versamento obbligatorio delle entrate comunali sul conto corrente di tesoreria dell’ente impositore.
Con riferimento alla disposizione richiamata inerente all’obbligo di versamento diretto all’ente impositore, con una nota del 22 dicembre 2016, l’IFEL ha espresso il proprio parere, secondo il quale l’obbligo in questione trova applicazione solo con riferimento alle entrate, di qualsiasi natura, che sono, comunque, spettanti all’ente locale e quindi destinate ad essere riversate, non operando, invece, per i casi in cui le entrate, pur nella potestà dell’ente, sono destinate ad essere trattenute, per la particolare forma contrattuale, dal soggetto affidatario.
Nel caso della concessione del prelievo sulla pubblicità (o di altre fattispecie analoghe) a fronte di un canone fisso annuale, anziché ad aggio o ad altra forma di remunerazione del servizio, l’incasso del concessionario (fatto salvo il versamento del canone fisso dovuto all’ente impositore) non configura le condizioni di maneggio e custodia di denaro pubblico che hanno condotto il Legislatore ad intervenire nel senso di rendere obbligatorio il versamento diretto all’ente impositore, ma si connota piuttosto quale incasso diretto del corrispettivo devoluto contrattualmente al concessionario a fronte dell’attività eseguita in forza della concessione.
Tale argomentazione, secondo l’IFEL, non è inficiata da quanto disposto dall’art. 53, comma 1, del Decreto Legislativo n. 446/1997 che, con una locuzione forse non troppo felice, stabilisce che dal novero delle attività di liquidazione, accertamento e riscossione dei tributi e delle entrate degli enti locali sono escluse le attività di “incasso diretto”. Tale divieto non può intendersi riferito, ovviamente, a somme di spettanza del concessionario, come quelle relative alle somme del canone unico di cui all’art. 1, comma 816, della Legge n. 160/2019 nell’ipotesi di affidamento a “canone fisso” e non ad aggio sul riscosso, perché, come detto, si tratta di somme non destinate ad essere riversate all’ente locale. Di conseguenza, il divieto posto dall’art. 53 citato va letto in combinato disposto con quanto previsto dall’art. 2-bis del DL n. 193/2016 e, quindi, non può che riferirsi al divieto di incasso diretto delle entrate dei Comuni e degli altri enti locali.
Conclusivamente, l’IFEL ritiene che, anche a seguito del mutato quadro normativo, sia salvaguardata la possibilità di affidamento a canone fisso, tipico delle piccole realtà comunali.