Calcolo del quorum per le votazioni del Consiglio Comunale: vale l’arrotondamento all’unità superiore
Il Consiglio di Stato, sez. I, nell’Adunanza di sezione del 27 gennaio 2021, con il parere n. 129/2021, si è espresso sulla questione, sottoposta dal Ministero dell’Interno, sul criterio di calcolo dell’arrotondamento nel caso in cui la maggioranza richiesta per la deliberazione del Consiglio Comunale sia definita dalla norma indicando una frazione (un terzo, due terzi, etc.) del numero complessivo dei componenti (che è variabile in funzione della classe demografica di appartenenza dell’ente locale) e il risultato della divisione del numero dei componenti l’organo collegiale (o dei consiglieri assegnati) dia un resto in decimali; se, cioè, in tali casi, si debba fare uso dell’arrotondamento per difetto, alla cifra inferiore, o per eccesso, a quella superiore.
Anticipiamo subito che, secondo il parere, in assenza di indicazioni normative espresse di segno diverso, nel caso in cui il risultato della divisione del numero dei componenti l’organo collegiale (o dei consiglieri assegnati) dia un resto in decimali, deve optarsi sempre per l’arrotondamento per eccesso alla cifra intera superiore.
Vediamo perché.
La legge fornisce scarne e incomplete indicazioni in merito, lasciando all’autonomia organizzativa comunale ampi margini di autorganizzazione tramite lo statuto e i regolamenti sul funzionamento degli organi.
In particolare, l’art. 38, comma 2, del TUEL (Decreto Legislativo n. 267/2000) riserva a un apposito regolamento comunale, approvato a maggioranza assoluta, la disciplina del funzionamento dei consigli, nel quadro dei principi stabiliti dallo statuto. Il secondo periodo del comma 2 in esame prevede, poi, che “Il regolamento indica altresì il numero dei consiglieri necessario per la validità delle sedute, prevedendo che in ogni caso debba esservi la presenza di almeno un terzo dei consiglieri assegnati per legge all’ente, senza computare a tale fine il sindaco e il presidente della provincia”. In proposito la giurisprudenza ha stabilito che l’unico limite invalicabile, posto dalla legge all’autonomia statutaria e regolamentare comunale, è costituito dalle soglie minime di validità della costituzione e riunione dell’organo (quorum strutturale), come stabilito dall’ora citato comma 2 dell’art. 38 (in tal senso, Consiglio di Stato, sez. III, sent. 1° marzo 2018, n. 1482, che ha giudicato inderogabile la disciplina del calcolo del quorum costitutivo prevista dall’art. 38, comma 2, del TUEL; similmente, Consiglio di Stato, sez. V, sent. 5 settembre 2012, n. 4694).
Secondo il Consiglio di Stato, sul piano del metodo, in assenza di indicazioni normative puntuali di diverso segno, in base ai principi di logica immanenti al sistema, tra i quali devono senz’altro includersi le regole dell’aritmetica, dovrebbe sempre trovare applicazione prioritaria il criterio aritmetico di arrotondamento, menzionato peraltro nello stesso TUEL, nell’art. 47, sulla Composizione delle giunte, lì dove si prevede che il numero degli assessori “non deve essere superiore a un terzo, arrotondato aritmeticamente, del numero dei consiglieri comunali e provinciali”.
Ora, come è noto, l’arrotondamento aritmetico (o “troncamento”) comporta che l’arrotondamento debba essere effettuato per difetto quando la cifra decimale sia uguale o inferiore a 5 (0,50 centesimi), mentre debba essere per eccesso, ove la cifra decimale sia superiore a 5 (0,50); con la precisazione che il criterio aritmetico dell’arrotondamento al numero intero più vicino, con troncamento delle cifre decimali inferiori allo 0,50, non deve mai condurre al raggiungimento di una cifra inferiore al quorum stabilito dalla legge (Consiglio di Stato, sez. V, sent. 5 settembre 2012, n. 4694).
Il mero criterio aritmetico non è, tuttavia, sufficiente a risolvere in modo soddisfacente la questione, essendo in astratto configurabili due possibili linee interpretative.
Una, di tipo finalistico, è orientata verso la ricerca delle ragioni sottese alla previsione di speciali maggioranze deliberative (aggravate o semplificate), ragioni che possono essere alternativamente quella di garantire la più ampia condivisione possibile e la maggiore rappresentatività in relazione a deliberazioni di particolare rilievo e incidenza sulla vita dell’ente e sugli interessi pubblici amministrati, oppure quella di assicurare alcune garanzie partecipative e di controllo alle minoranze, con la conseguenza che, nel primo caso, si dovrebbe scegliere la soluzione interpretativa che renda più impegnativo lo sforzo di approvazione della deliberazione, allargando al massimo il numero dei voti necessari, mentre nel secondo caso si dovrebbe di converso preferire la soluzione opposta, diretta a facilitare l’approvazione ritenendo sufficiente il minimo numero possibile di voti (al fine di non vanificare l’esigenza partecipativa della minoranza). Sulla base di questa impostazione, in sostanza, la regola generale dovrebbe essere costituita dall’arrotondamento per eccesso (a garanzia di maggiore partecipazione e rappresentatività dell’organo), mentre, quale di eccezione a questa regola, dovrebbe invece assumersi il criterio opposto, quello dell’arrotondamento per difetto “laddove la percentuale minima di consiglieri sia stabilita ai fini dell’attivazione di istituti posti a presidio delle minoranze (ad es. art. 39, comma 2, o art. 52, comma 2, citati)”, di talché la regola dell’arrotondamento per eccesso dovrebbe trovare applicazione, ad esempio, nel caso del calcolo della maggioranza pari a due terzi per la deliberazione dello statuto e delle modifiche statutarie, come anche per il caso, esaminato dalla sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, n. 4694/2012, in tema di elezione del Presidente del Consiglio Comunale (in una fattispecie nella quale lo statuto prescriveva la maggioranza dei due terzi dei consiglieri assegnati).
Una seconda linea interpretativa converge, invece, su una soluzione, anche in questo caso più semplice e lineare, secondo la quale, nel silenzio del legislatore, dovrebbe applicarsi sempre l’arrotondamento all’unità superiore, in quanto l’esito con decimali dell’operazione (cui segue l’arrotondamento) deve soddisfare sempre il requisito minimo posto dalla disposizione (ad es., almeno un quarto dei componenti, la maggioranza di almeno due terzi dei componenti, e così via).
I giudici di Palazzo Spada hanno ritenuto preferibile questa seconda soluzione, per un duplice ordine di ragioni:
- sotto un primo profilo, effettivamente, quando la divisione riguarda numeri interi non frazionabili (i membri dell’organo), l’arrotondamento alla cifra intera inferiore (se la frazione è inferiore a 0,50) finirebbe per portare il numero reale dei componenti richiesti al di sotto della soglia minima voluta dalla norma (“almeno un quarto”, ad esempio: se la norma prevede che una certa procedura venga attivata da almeno un quarto dei componenti e i componenti sono 13, allora 13/4= 3,25, sicché per soddisfare il requisito minimo – non meno di 3,25 – e nell’impossibilità di dividere numeri interi non frazionabili, la procedura potrà ritenersi regolarmente attivata solo se promossa da 4 – e non da 3 – componenti);
- sotto un secondo profilo, la linea interpretativa che si affida alla ricerca della ratio sottesa alla norma che richiede quorum speciali rischia di condurre ad esiti opinabili e incerti, come tali fortemente sconsigliabili in una materia quale quella in esame, che richiede per quanto possibile soluzioni nette e certe, che non lascino spazio a soverchi dubbi applicativi.
La preferenza per l’arrotondamento per eccesso trova peraltro un ampio riscontro nella giurisprudenza, secondo la quale “nei casi in cui il computo del quorum costitutivo o deliberativo previsto da norme di rango primario o secondario per la valida deliberazione di provvedimenti collegiali conduca all’individuazione di una cifra decimale, l’arrotondamento deve essere operato per eccesso all’unità superiore, dal momento che la soluzione contraria dell’arrotondamento per difetto all’unità inferiore, con il troncamento delle cifre decimali, ridurrebbe la soglia di maggioranza al di sotto di quella normativamente richiesta” (Consiglio di Stato, sez. V, sent. 5 settembre 2012, n. 4694; sent. 11 marzo 2005, n. 1038; sent. 23 aprile 1998, n. 476; TAR Piemonte, sez. II, sent. 15 novembre 2017, n. 1224).
Concorre, infine, nella valutazione favorevole all’opzione dell’arrotondamento per eccesso anche la considerazione della costante prassi seguita da entrambe le Camere del Parlamento nazionale che, in mancanza di indicazioni testuali, assenti anche nei regolamenti parlamentari, hanno sempre agito nel senso di applicare in ogni caso l’arrotondamento per eccesso al numero intero superiore.