È annullabile la delibera con cui il Consiglio approva il rendiconto se la relazione del revisore è stata resa disponibile ai consiglieri senza il rispetto del termine minimo di 20 giorni previsto dall’art. 227 del TUEL (Decreto Legislativo n. 267/2000): è quanto affermato dal TAR Campania, Napoli, sez. I, nella sent. 10 dicembre 2020, n. 6048, accogliendo il ricorso presentato da un consigliere comunale, il quale lamentava che la relazione in oggetto era stata messa a disposizione solo il giorno prima della seduta per l’approvazione del rendiconto.
Ed infatti, la norma citata dispone che, al comma 2, che “Il rendiconto della gestione è deliberato entro il 30 aprile dell’anno successivo dall’organo consiliare, tenuto motivatamente conto della relazione dell’organo di revisione. La proposta è messa a disposizione dei componenti dell’organo consiliare prima dell’inizio della sessione consiliare in cui viene esaminato il rendiconto entro un termine, non inferiore a venti giorni, stabilito dal regolamento di contabilità”.
Il comma 5 del predetto articolo aggiunge che “al rendiconto della gestione sono allegati i documenti previsti dall’art. 11 comma 4 del decreto legislativo 23 giugno 2011, n. 118, e successive modificazioni” e tale ultima disposizione, alla lett. p), ricomprende la relazione del collegio dei revisori dei conti tra i documenti da allegare al rendiconto della gestione.
I giudici napoletani hanno ricordato che, secondo consolidato orientamento del giudice amministrativo (ex multis, Consiglio di Stato, sez. V, sent. 7 luglio 2013, n. 3446; TAR Campania, Napoli, sez. I, n. 17 settembre 2015, n. 4570; TAR Campania, Salerno, sez. II, sent. 4 febbraio 2015, n. 230), i consiglieri comunali, in quanto tali, non sono legittimati ad agire contro l’amministrazione di appartenenza, dato che il giudizio amministrativo non è di regola aperto alle controversie tra organi o componenti di organi dello stesso ente, ma è rivolto a risolvere controversie intersoggettive; pertanto, l’impugnativa di singoli consiglieri può ipotizzarsi soltanto quando vengano in rilievo atti incidenti in via diretta sul diritto all’ufficio dei medesimi e, quindi, su un diritto spettante alla persona investita della carica di consigliere, dovendosi escludere che ogni violazione di forma o di sostanza nell’adozione di una deliberazione, che di per sé può produrre un atto illegittimo impugnabile dai soggetti diretti destinatari o direttamente lesi dal medesimo, si traduca in una automatica lesione dello ius ad officium; pertanto la legittimazione al ricorso può essere riconosciuta al consigliere solo quando i vizi dedotti attengano ai seguenti profili:
- a) erronee modalità di convocazione dell’organo consiliare;
- b) violazione dell’ordine del giorno;
- c) inosservanza del deposito della documentazione necessaria per poter liberamente e consapevolmente deliberare (ed il caso specifico della sentenza del TAR Campania segnalata rientra in detta casistica);
- d) più in generale, preclusione in tutto o in parte dell’esercizio delle funzioni relative all’incarico rivestito.