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Il dipendente comunale non può svolgere contemporaneamente l’attività di imprenditore agricolo

Il dipendente comunale non può svolgere contemporaneamente l’attività di imprenditore agricolo: è quanto affermato dalla Corte di Cassazione Civile, sent. del 1° dicembre 2020, n. 27420.

Anche per i dipendenti degli enti locali il regime delle incompatibilità, tra l’impiego pubblico e le altre attività e i casi di cumulo di impieghi ed incarichi pubblici, è contenuto sotto la generale disciplina del Decreto Legislativo n. 165 del 2001 (Testo unico sul pubblico impiego), il cui art. 53, oltre a individuare una serie di disposizioni rilevanti, rimanda agli artt. 60 e ss. del DPR n. 3/1957 (Testo unico delle disposizioni concernenti lo statuto degli impiegati civili dello Stato).

Dall’analisi delle citate disposizioni, si possono distinguere tre ipotesi:

  • le attività assolutamente vietate;
  • le attività consentite previa autorizzazione;
  • le attività consentite senza necessità di autorizzazione.

In particolare, per quanto riguarda le prime, l’art. 60 del citato DPR n. 3/1957, dispone che “L’impiegato non può esercitare il commercio, l’industria, né alcuna professione o assumere impieghi alle dipendenze di privati o accettare cariche in società costituite a fine di lucro, tranne che si tratti di cariche in società o enti per le quali la nomina è riservata allo Stato e sia all’uopo intervenuta l’autorizzazione del Ministro competente”.

Secondo i giudici, detta previsione, dal punto di vista oggettivo, è ampia e tale da includere tutte le attività che presentino i caratteri della abitualità e professionalità idonee a disperdere all’esterno le energie lavorative del dipendente e ciò al fine di preservare queste ultime e tutelare il buon andamento della P.A., che risulterebbe turbato dall’espletamento da parte dei propri dipendenti di attività imprenditoriali caratterizzate da un nesso tra lavoro, rischio e profitto.

Parte della giurisprudenza (specie amministrativa), in passato, ha ritenuto che l’attività agricola non rientrasse tra le attività automaticamente incompatibili, sia perché tale attività non è stata specificamente individuata dall’art. 60 del DPR n. 3/1957 tra quelle precluse per l’impiegato pubblico sia perché nel codice civile l’attività agricola non è inclusa in una delle attività lavorative tipiche secondo la disciplina civilistica.

Tale orientamento, però, non ha tenuto conto di quella che è stata l’evoluzione dell’attività agricola: sia attraverso la legge 9 maggio 1975, n. 153, rubricata Attuazione delle direttive del Consiglio delle Comunità europee per la riforma dell’agricoltura, secondo la quale (art. 12) “la qualifica di imprenditore agricolo principale va riconosciuta a chi dedichi all’attività agricola almeno 2/3 del proprio tempo di lavoro complessivo e ricavi dall’attività medesima almeno i 2/3 del proprio reddito globale da lavoro risultante dalla propria posizione fiscale”;

sia attraverso l’adeguamento di tale attività alle strutture societarie già presenti nel nostro ordinamento, così che l’imprenditore agricolo può essere anche una società, sia di persone che di capitali, oltre che cooperative.

Ne discende che, la disposizione contenuta nel citato art. 60 del DPR n. 3/1957, interpretata in senso più aderente alla realtà attuale, si riferisce e ricomprende anche l’attività agricola, in quanto ciò che rileva non è la remunerazione che il dipendente ottiene da un’attività esterna, ma la sussistenza di un centro di interessi alternativo all’ufficio pubblico rivestito implicante un’attività che, in quanto caratterizzata da intensità, continuità e professionalità, pregiudica il rispetto del dovere di esclusività e, inoltre, potrebbe turbare la regolarità del servizio o attenuare l’indipendenza del lavoratore pubblico e conseguentemente il prestigio della P.A.