È illegittimo il silenzio del Comune di fronte alla richiesta di accesso agli atti da parte del soggetto affidatario di un incarico a favore del medesimo ente: è quanto affermato dal TAR Abruzzo, L’Aquila, sez. I., nella sent. 7 novembre 2020, n. 404.
Secondo i giudici, infatti, nel caso specifico sussistono gli elementi previsti dagli artt. 22 e ss. della Legge n. 241/1990, visto che l’accesso era funzionale all’ottenimento del pagamento delle spettanze a cui l’istante aveva diritto; si concretizza, perciò, un interesse concreto, diretto ed attuale, correlato alla soddisfazione del proprio diritto di credito e alla conseguenza azione giudiziale.
Inoltre, l’art. 24, comma 7 della Legge n. 241/1990 prevede che debba, comunque, essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici.
L’accesso, come più volte ribadito dalla giurisprudenza amministrativa (TAR Campania, Napoli, sez. VI, sent. 1° marzo 2017, n. 1183 e sent. n. 329 del 29 maggio 2020; TAR Lombardia, Milano, sez. II, sent. 20 luglio 2018, n. 1778), infatti, deve essere considerato non solo ed esclusivamente come un istituto capace di permettere la conoscenza dei documenti amministrativi in via strumentale alla partecipazione procedimentale o alla difesa in giudizio, ma anche come idoneo ad ottenere la conoscenza di atti del procedimento amministrativo ogni qualvolta venga allegata la sussistenza, di un interesse alla tutela di situazioni giuridicamente rilevanti, la cui nozione è più ampia ed estesa rispetto a quella dell’interesse all’impugnazione, potendo avere ad oggetto atti idonei a dispiegare effetti diretti o indiretti nei confronti dell’istante indipendentemente dalla sussistenza o meno della loro lesività.