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L’utile apparentemente modesto non determina l’anomalia dell’offerta

 

Per giurisprudenza del tutto pacifica, non è possibile stabilire una soglia minima di utile al di sotto della quale l’offerta deve essere considerata anomala, poiché anche un utile apparentemente modesto può comportare un vantaggio significativo, sia per la prosecuzione in sé dell’attività lavorativa, sia per la qualificazione, la pubblicità, il curriculum derivanti per l’impresa dall’essere aggiudicataria e aver portato a termine un appalto pubblico (ex plurimis, Consiglio di Stato, sez. III, sent. 17 giugno 2019, n. 4025; sez. V, sent. 29 dicembre 2017, n. 6158; TAR Lazio, Roma, sez. II, sent. 4 febbraio 2020, n. 14879).

Anzi, a voler portare alle estreme conseguenze il concetto di onerosità c.d. debole del contratto di appalto, sussistente anche in ipotesi di solo rimborso delle spese documentate sostenute dall’appaltatore – come anche di recente autorevolmente sostenuto sia dal giudice comunitario (C.G.U.E. sez. IV, 10 settembre 2020 causa C-367/2019) che da quello “domestico” (Consiglio di Stato, sez. V, sent. 3 ottobre 2017, n. 4614) – non può ciò non riflettersi anche in riferimento al giudizio di anomalia, ben potendo consistere la controprestazione dell’appaltatore – oltre in un corrispettivo in denaro – in “altra utilità economicamente apprezzabile” ovvero nel (mero) conseguimento di nuovi ambiti di mercato, nella conservazione del potenziale produttivo e nel mantenimento del livello occupazionale, specie nel contesto di una grave crisi economica quale quella attuale (cfr. TAR Trentino-Alto Adige, Bolzano, sent. 24 ottobre 2013, n. 299).