Come è noto, l’art. 13, comma 2, del DL n. 201/2011, statuisce che “L’imposta municipale propria non si applica al possesso dell’abilitazione principale e delle pertinenze della stessa, ad eccezione di quelle classificate nelle categorie catastali A/1, A/8 e A/9 (…). Per abitazione principale si intende l’immobile, iscritto o iscrivibile nel catasto edilizio urbano come unica unità immobiliare, nel quale il possessore ed il suo nucleo familiare dimorano abitualmente e risiedono anagraficamente”.
Ciò comporta, la necessità che in riferimento alla stessa unità immobiliare tanto il possessore quanto il suo nucleo familiare non solo vi dimorino stabilmente ma vi risiedano anche anagraficamente: è quanto ribadito recentemente dalla Corte di Cassazione, sez. VI, nella sent. 24 settembre 2020, n. 20130, confermando un orientamento già espresso in precedenti occasioni in ordine alla natura di stretta interpretazione delle norme agevolative (tra le molte, in tema di ICI, più di recente, cfr. Cass., sez. V, sent. 11 ottobre 2017, n. 23833), condiviso anche dalla Corte Costituzionale (cfr. sent. 20 novembre 2017, n. 242).
Nel caso specifico, la Corte ha dato torto al contribuente che aveva la propria residenza anagrafica in un Comune mentre il proprio coniuge, non legalmente separato, aveva residenza e dimora abituale in altro Comune.