La previsione nelle delibere comunali di tariffe molto più alte per gli alberghi rispetto a quelle stabilite per le civili abitazioni non costituisce di per sé ingiustificata disparità di trattamento, tenuto conto della notoria maggiore capacità di produrre rifiuti degli alberghi rispetto alle civili abitazioni: è quanto affermato dalla Corte di cassazione, sez. trib., nella sent. n. 12783 del 26 giugno 2020.
I giudici hanno, altresì, ribadito che non è configurabile alcun obbligo di motivazione della delibera comunale che classifichi diversamente abitazioni civili e alberghi, ai fini della determinazione delle tariffe da applicare, poichè quest’atto, al pari di qualsiasi atto amministrativo a contenuto generale o collettivo, si rivolge ad una pluralità indistinta, anche se determinabile ex post, di destinatari, occupanti o detentori, attuali o futuri, di locali ed aree tassabili (così Cass., sez. trib., sent. n. 8077 del 3 aprile 2018).
La differenziazione della tariffa degli esercizi alberghieri da quella delle civili abitazioni, peraltro, è stata considerata legittima dalla giurisprudenza anche alla luce della conformità al principio unionale “chi inquina paga”, espresso dalla Dir. n. 2006/12/CE, art. 15, e dalla Dir. n. 2008/98/CE, art. 14, che, nell’osservanza del principio di proporzionalità, consentono al diritto nazionale di differenziare il calcolo della tassa di smaltimento per categorie di utenti (Cass., sez. trib., sent. n. 15041 del 16 giugno 2017).