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Differimento termini versamento tributi locali: le precisazioni del MEF

Con la risoluzione n. 8/DF dell’8 giugno 2020 il MEF, Dipartimento delle Finanze, Direzione legislazione tributaria e federalismo fiscale, è intervenuto sulla delicata questione del differimento dei termini per il versamento dei tributi locali, fornendo una serie di utili indicazioni.

In sintesi, secondo gli esperti del Ministero:

  • tale facoltà rientra nell’autonomia regolamentare del Comune, per come delineata dall’art. 52 del Decreto Legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, norma secondo la quale l’ente locale può disciplinare le modalità di riscossione, ivi comprese quelle relative al differimento dei termini di versamento; ciò in quanto il Legislatore ha tenuto in primo piano non solo le esigenze di semplificazione, chiarezza e trasparenza dei procedimenti amministrativi, ma anche la necessità di evitare l’aggravio dei procedimenti nei confronti del contribuente.
  • il potere di differimento dei termini di versamento rientra nelle competenze del Consiglio Comunale; tuttavia, vista la situazione emergenziale in atto, ha affermato che rimane ammissibile una delibera di Giunta da sottoporre al Consiglio per la successiva ratifica;
  • il differimento può riguardare le entrate di spettanza propria del Comune e non anche a quelle di competenza statale, le quali, per loro natura, sono interamente sottratte all’ambito di intervento della predetta potestà regolamentare dell’ente locale in materia tributaria. Tale principio porta ad escludere che possano essere deliberati dai Comuni interventi – anche di semplice differimento dei versamenti – aventi ad oggetto la quota IMU di competenza statale, relativa agli immobili a destinazione produttiva.

Si rammenta, infatti, che il comma 753 dell’art. 1 della legge n. 160 del 2019, stabilisce che “Per gli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D l’aliquota di base è pari allo 0,86 per cento, di cui la quota pari allo 0,76 per cento è riservata allo Stato, e i comuni, con deliberazione del consiglio comunale, possono aumentarla sino all’1,06 per cento o diminuirla fino al limite dello 0,76 per cento”. Decisivi, al fine di pervenire alla conclusione sopra evidenziata, si rivelano i seguenti elementi:

  • in primo luogo la circostanza per cui, in virtù del comma 753 dell’art. 1 della Legge 27 dicembre 2019, n. 160, il Comune non ha alcun potere di intervento in ordine alla quota di spettanza statale, atteso che all’ente locale, per un verso, è interdetta la riduzione dell’aliquota al di sotto dello 0,76% e, per altro verso, è in ogni caso attribuito il gettito derivante dalla decisione di aumentare l’aliquota stessa oltre tale limite e fino all’1,06%. A questo proposito, vale anche la pena di evidenziare che, laddove invece il Comune ha potestà regolamentare in merito al tributo, è il Legislatore ad averla espressamente prevista, come avviene per la possibilità di diversificare le aliquote applicabili alle diverse fattispecie impositive, aumentandole entro i limiti stabiliti dallo stesso Legislatore o diminuendole fino all’azzeramento (commi 750, 751, 752 e 754 dell’art. 1 della Legge n. 160 del 2019);
  • in secondo luogo, la previsione del comma 744 dell’art. 1 della medesima Legge n. 160 del 2019, con cui è conferito espressamente ai comuni il potere di svolgere le attività di accertamento e riscossione relative al gettito IMU riservato allo Stato derivante dagli immobili ad uso produttivo classificati nel gruppo catastale D, ed è stabilito, al contempo, che agli stessi enti spettano le maggiori somme derivanti dallo svolgimento delle suddette attività a titolo di imposta, interessi e sanzioni.

Tale quadro normativo di riferimento, quindi, conferma che la quota IMU riservata allo Stato è sottratta alla disponibilità dei Comuni; del resto, proprio per tali ragioni, sono stati previsti due distinti codici tributo per i versamenti relativi alla quota Stato e alla quota Comune, in modo tale da imputare anche operativamente le somme in questione direttamente ai due distinti soggetti.

In merito, poi, alla possibilità di lasciare la scadenza IMU al 16 giugno 2020, dando al contempo la possibilità a coloro che versano fino al 30 settembre 2020 di regolarizzare l’acconto IMU senza pagare sanzioni ed interessi, il MEF afferma che ciò equivale a raggiungere indirettamente lo stesso risultato del differimento di termini, per cui valgono tutte le considerazioni innanzi riportate. Da quanto affermato nella risoluzione, quindi, sembra corretto ritenere che lo slittamento della quota comunale dell’IMU a settembre senza sanzioni e interessi sia possibile.

Il MEF ha anche sottolineato che, sempre in materia di IMU, limitatamente alla quota Comune, nonché alla quota Stato in sede di accertamento, non sembra prospettabile la possibilità da parte del Comune di rinunciare integralmente alle sanzioni, poiché sono coperte dalla riserva di legge: ipotesi, questa, che riguarderebbe il pagamento oltre il termine di differimento. La stessa Corte dei Conti, esprimendosi anche in materia di rinuncia agli interessi (sez. reg. contr. Piemonte, delib. n. 7/PAR/2007; sez. reg. contr. Sicilia, delib. n. 106/2014 e sez. reg. contr. Lombardia, delib. n. 140/2018), ha affermato che è consolidato il principio dell’indisponibilità dell’obbligazione tributaria, per cui l’ente locale non può rinunciare alle sanzioni e agli interessi relativi ai tributi non versati alle scadenze stabilite.