Come è noto, per gli enti in fase di riequilibrio finanziario, l’art. 243-bis, comma 9, lettera a), del TUEL (Decreto Legislativo 18 agosto 2000, n. 267) prevede, tra le misure da adottare per poter accedere al fondo di rotazione (di cui all’art. 243-ter), l’obbligo di riduzione delle spese di personale, “da realizzare in particolare attraverso l’eliminazione dai fondi per il finanziamento della retribuzione accessoria del personale”.
Secondo la Corte dei Conti, sez. reg. contr. Liguria, delib. n. 51/2020/PAR, depositata il 27 maggio 2020, la disposizione citata, laddove dispone la suddetta eliminazione, si riferisce precisamente alle sole risorse proprie che gli enti possono stanziare per tale scopo.
In altri termini, il legislatore ha inteso privare di tale facoltà gli enti per i quali, con l’avvio della procedura del cd. “predissesto”, risulta formalizzato uno stato di criticità finanziaria, evidentemente valutando a priori il relativo esercizio come incompatibile con l’esigenza di riequilibrio della parte corrente del bilancio, considerato doveroso ai fini del complessivo risanamento finanziario cui tende l’intera disciplina dell’istituto.
Per contro, l’imposizione in questione non vale per le ipotesi in cui un ente acquisisce da soggetti esterni delle risorse di cui non ha alcuna disponibilità quanto alla finalizzazione all’attribuzione di compensi accessori al personale impegnato in determinate attività, poiché tale destinazione è ricompresa nei vincoli di utilizzo predeterminati dal soggetto finanziatore o stabiliti in accordo col medesimo. È questa, evidentemente, una situazione che ben può prodursi nei casi di contributi a destinazione vincolata provenienti da altri soggetti pubblici (anche nell’ambito della gestione di fondi comunitari) per il finanziamento di attività, opere o progetti in genere, laddove gli obblighi stabiliti o concertati riguardo alle modalità del loro impiego contemplano (di norma entro una quota massima definita) la possibilità di remunerare prestazioni aggiuntive rese dal personale dell’ente beneficiario impegnato nella realizzazione dell’obiettivo finale della contribuzione.
In sostanza, dunque, secondo la Sezione un incremento della componente variabile del Fondo risorse decentrate di risorse rinvenienti da contributi di soggetti esterni che prevedono anche tale modalità di impiego obbligatorio, non si pone in contrasto con l’obbligo di eliminazione di tale tipologia di risorse dai fondi per la contrattazione decentrata sancito dal ridetto art. 243-bis, comma 9, lett. a), del TUEL.
Tale disposizione, d’altra parte, lungi da avere carattere sanzionatorio, diversamente non potrebbe essere interpretata con riguardo ad entrate aventi vincolo di destinazione, il cui utilizzo per definizione non incide su quegli equilibri di bilancio al cui ripristino è diretto l’intero plesso normativo di cui fa parte. In questi casi, l’esclusione della possibilità di destinare quote di contributi di soggetti esterni al trattamento accessorio del personale sortirebbe l’effetto di ostacolare gravemente o rendere maggiormente difficoltoso l’efficace impiego dei finanziamenti ricevuti, senza peraltro che ciò possa in alcun modo giovare alle esigenze di riequilibrio finanziario dell’ente. E risulta evidente come, allorquando si tratti di fondi di derivazione comunitaria, il cui concreto utilizzo di regola esige attività programmatorie, organizzative e di assistenza tecnica specialistiche, un qualsiasi effetto di penalizzazione (quando non di sostanziale esclusione) per gli enti in fase di riequilibrio finanziario, non corrisponderebbe all’interesse economico nazionale.