Niente accordi transattivi sulla sanzione tributaria pecuniaria da parte dell’ente locale
L’ente locale non ha la possibilità di disporre della sanzione tributaria pecuniaria ovvero del credito originato dalla irrogazione della stessa al fine di concludere accordi transattivi con il destinatario della sanzione: è il principio ribadito dalla Corte dei conti, sez. reg. contr. Basilicata, nel parere n. 4 del 27 febbraio 2020.
Come è noto, l’art. 23 Cost. stabilisce che “nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge”; trattasi di disposizione che contiene una riserva di legge relativa, sicché è necessaria l’interposizione del Legislatore che perimetri almeno i tratti essenziali della materia, attribuendo alla fonte normativa secondaria il potere di intervento con carattere attuativo/esecutivo/organizzativo dei principi definiti dalla fonte di primo grado, risultando inibito alle norme primarie demandare a fonti secondarie la determinazione della sanzione (Cass. civ., sez. I, sent. 18 gennaio 2005, n. 936).
La normativa tributaria ricade nell’alveo applicativo dell’art. 23 Cost. in considerazione del fatto che impone in via coattiva una serie di prestazioni di natura patrimoniale: pertanto, gli enti locali non hanno alcun potere dispositivo in materia tributaria, se non nei limiti previsti dallo stesso Legislatore; a tal proposito, l’art. 12, comma 1 lett. a, della l. n. 42 del 2009 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), nell’ambito dei “Principi e criteri direttivi concernenti il coordinamento e l’autonomia di entrata e di spesa degli enti locali”, prevede che “la legge statale individua i tributi propri dei comuni e delle province, anche in sostituzione o trasformazione di tributi già esistenti e anche attraverso l’attribuzione agli stessi comuni e province di tributi o parti di tributi già erariali; ne definisce presupposti, soggetti passivi e basi imponibili; stabilisce, garantendo una adeguata flessibilità, le aliquote di riferimento valide per tutto il territorio nazionale”.
Inoltre, secondo i giudici, il concetto di inderogabilità della norma tributaria coinvolge anche il regime sanzionatorio tributario, tra le cui molteplici funzioni, assumono una spiccata importanza il carattere deterrente e la natura punitiva che sono collegati alla violazione della normativa impositiva.
Il principio di legalità, che tutela il privato da imposizioni patrimoniali al di fuori dei casi previsti dalla legge (Consiglio di Stato, sez. VI, sent. 17 gennaio 2008, n. 102), garantisce la corretta applicazione sia del principio di uguaglianza tra i cittadini sia dei principi di buon andamento e di imparzialità della pubblica amministrazione (art. 97 Cost.). Infatti, risulterebbe contrario ai parametri costituzionali (al principio di uguaglianza) consentire alle singole amministrazioni locali la scelta in ordine a ciò che è lecito o che è illecito, disponendo della sanzione, senza adeguati e ragionevoli parametri imposti dalla normativa primaria; similmente l’assenza di limiti legislativi all’agere dell’amministrazione finanziaria, determinerebbe un’effettiva frustrazione del parametro dell’imparzialità consentendo contegni differenziati a situazioni simili (Corte Cost., sent. 7 aprile 2011, n. 115).
La sanzione pecuniaria tributaria rientra nel novero delle potestà e dei diritti indisponibili perché è espressione del potere punitivo dell’amministrazione, che è esercitato esclusivamente secondo i criteri e i limiti imposti dalla legge, con la esclusione della possibilità da parte dell’Ente non solo di concludere accordi transattivi con il destinatario della sanzione (Corte dei conti, Lombardia, sez. reg. contr. Lombardia, parere n. 140/2018; TAR Puglia, Lecce, sez. I, sent. 24 gennaio 2017, n. 99), ma anche di disporre del credito originato dall’irrogazione della sanzione; specularmente, l’indisponibilità non consente la rinuncia degli introiti derivanti dalle obbligazioni tributarie, compresi gli interessi e le connesse sanzioni (Corte dei conti, sez. reg. contr. Sicilia, parere n. 106/2014).
I giudici lucani hanno anche ricordato che lo Statuto dei diritti del contribuente (Legge n. 212/2000) consente la valutazione in ordine all’esclusione dall’applicazione della sanzione qualora l’opacità della portata applicativa della norma tributaria ovvero le contraddittorie indicazioni dell’amministrazione finanziaria abbiano determinato obiettive situazioni di incertezza tali da frustrare il rapporto tra il contribuente e le PA fondato sui principi della tutela dell’affidamento e della buona fede: tale norma è rilevante, perché comunque il cittadino, potrà chiedere al Giudice (ma non all’ente locale) di valutare la sussistenza di tali condizioni ai fini dell’esclusione della sanzione.