L’imposta di soggiorno deve essere graduata anche in ragione della stagionalità

La previsione di un unico importo identico per l’intero anno, a titolo di imposta di soggiorno, differenziato solo sulla base della categoria di appartenenza della struttura ricettiva, è manifestamente illogica ed irrazionale ed in contrasto con il canone della proporzionalità ed il principio di gradualità che è espressione dell’imposta stessa: è quanto affermato dal TAR Puglia, Lecce, sez. III, nella sent. 17 marzo 2020, n. 333.
Ed infatti, è proprio l’art. 4 del D. Lgs. 14 marzo 2011, n. 23, nel prevedere che i Comuni possono applicare un’imposta di soggiorno a carico di coloro che alloggiano nelle strutture ricettive situate sul proprio territorio, precisa che devono rispettarsi criteri di gradualità in proporzione al prezzo. Siffatto principio rappresenta, a ben vedere, un corollario di quello generale di proporzionalità che deve ispirare l’esercizio da parte della P.A. delle potestà di tipo discrezionale.

Sotto altro profilo, la modulazione dell’importo della tariffa è esigenza che discende dai principi generali in materia tributaria, dovendo il prelievo restare agganciato ex art. 53 Cost. all’effettiva capacità contributiva del soggetto passivo (l’ospite della struttura) e, quindi, alla sua capacità di “spesa turistica in quanto espressione di ricchezza” (Consiglio di Stato, sez. V, sent. 10 gennaio 2019, n. 1614). Ne consegue che più elevato è il prezzo della prestazione ricettiva maggiore è la capacità contributiva dell’ospite che l’acquista e, di riflesso, più elevato può essere l’importo dell’imposta applicata. Specularmente a prezzi più bassi deve seguire, in ragione della minore capacità contributiva dell’ospite-soggetto passivo dell’imposta, la previsione di importi diversificati e più contenuti.

La necessità di graduare in ragione della stagionalità è, al contempo, coerente con l’esperienza comune secondo cui il prezzo medio della prestazione ricettiva varia non solo in ragione della categoria di appartenenza della struttura che la rende ma, all’interno della medesima categoria, anche della stagione in cui ha luogo il pernottamento. Questa differenziazione del prezzo medio praticato su base stagionale si spiega sul piano economico con riguardo all’oscillazione della domanda: quest’ultima, infatti, non rimane costante durante l’anno ma è soggetta ad aumenti e diminuzioni dovuti ad una pluralità di fattori quale, ad esempio, la tipologia di offerta turistica (balenare, storico-culturale, etc.).
Queste oscillazioni di domanda e, dunque, di prezzo legate alle normali dinamiche di mercato accomunano, senza differenze significative, tutti gli operatori turistico-ricettivi di un dato territorio e non possono essere legittimamente obliterate in sede di fissazione della tariffa dell’imposta di soggiorno.
Del resto, anche sul piano più strettamente tributario, la scelta di pernottare in un determinato periodo dell’anno, traducendosi nella disponibilità a pagare un dato prezzo medio più o meno elevato, si traduce in una diversa manifestazione della capacità contributiva ed impone, in ossequio all’art. 53 Cost., una differenziazione del prelievo.
La sentenza segnalata conferma un orientamento già noto: infatti, il Consiglio di Stato aveva avuto modo di affermare, proprio con riguardo alla mancata graduazione su base stagionale, che la scelta di “prevedere una tariffa unica per tutte le strutture ricettive rientranti nell’interno della medesima categoria […] sterilizza, pertanto, la gradualità, con un’impostazione unica quale che sia la capacità contributiva manifestata dalla spesa turistica sostenuta” (sez. V, 10 gennaio 2019, n. 1614).

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