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Scioglimento degli Enti Locali per mafia, opinioni a confronto a Sant’Ilario dello Ionio

Palazzo Speziali-Carbone ha ospitato la presentazione del volume di Manuela Calautti, Antonia Fabiola Chirico e Teresa Parisi

Il tema dello scioglimento degli Enti Locali per mafia si conferma molto attuale. Dopo le tappe a Reggio Calabria e a Locri, la presentazione a Sant’Ilario dello Ionio, nel cuore della Locride, del volume intitolato «Scioglimento degli Enti Locali per mafia. Excursus storico, presupposti e rimedi», edito da Interdata Cuzzola – Nei Comuni e Città del Sole edizioni, ha segnato un altro importante momento di riflessione e confronto. Dopo i saluti di Pasquale Cuzzola, direttore Ufficio legale di Interdata Cuzzola srl, e gli interventi delle autrici, Manuela Calautti, Antonia Fabiola Chirico e Teresa Parisi, avvocati del foro di Locri, le conclusioni affidate al sindaco di Sant’Ilario dello Ionio, Giuseppe Monteleone, hanno preceduto il vivace dibattito.

Avviso Pubblico, in occasione della recente presentazione del rapporto sull’argomento ha dichiarato che dal 1991 al 2018 in Italia sono stati sciolti per mafia 328 enti, ai quali si aggiungono i 187 decreti di proroga di precedenti provvedimenti. Sono stati 278 gli Enti locali complessivamente coinvolti in 27 anni, con picchi raggiunti tra il 2012 e il 2018. 26 sono stati i provvedimenti annullati dai giudici amministrativi, mentre 45 le procedure archiviate che hanno riguardato 15 Comuni tra cui quello di Villa San Giovanni (due archiviazioni). Sono state 62 le amministrazioni locali colpite da più di un decreto di scioglimento per infiltrazione e condizionamento della criminalità organizzata. Di queste, 45 hanno subito due scioglimenti, 17 ne hanno subiti tre. La prima regione e il primo capoluogo di provincia per numero di comuni colpiti sono la Calabria (seguita da Sicilia, Campania e Puglia) e la città metropolitana di Reggio (seguita da Napoli, Caserta e Palermo). Degli attuali 40 comuni sciolti, 22 sono in Calabria. Questi dati avvalorano ulteriormente l’esigenza di un confronto articolato su questo fenomeno che riguarda anche alcune regioni del Nord ma soprattutto i territori del Sud.

“La sfida contro il crimine organizzato mafioso infiltrato negli Enti Locali richiede certamente strumenti solidi e norme dettagliate. Da studioso di diritto ed educatore, ritengo che la scommessa debba essere non solo normativa, ma anche culturale. Da qui nascono la volontà di Interdata Cuzzola di investire in questa iniziativa editoriale e l’impegno di affiancare gli Enti Locali per assicurare formazione, aggiornamento e sviluppo di buone prassi. Il fine è quello di promuovere presso gli stessi Enti la consapevolezza degli strumenti preventivi, esistenti nel nostro ordinamento, atti a garantire un operato amministrativo sano, corretto e trasparente. Si tratta di un contributo che intendiamo offrire per prevenire condizioni potenzialmente favorevoli ad infiltrazioni mafiose e conseguenti deviazioni o sviamenti dell’attività dell’Ente locale dal perseguimento del Bene comune”, ha commentato Pasquale Cuzzola, direttore Ufficio Legale di Interdata Cuzzola.

Si sono soffermate nel dettaglio del volume le tre autrici, Manuela Calautti, Antonia Fabiola Chirico e Teresa Parisi, contribuendo con i loro qualificati punti di vista ad approfondire un fenomeno molto complesso ed una normativa che incide profondamente sulla vita delle comunità e sulle Autonomie locali, costituzionalmente garantite tra i principi fondamentali del nostro ordinamento.

“In qualità di misura straordinaria di carattere preventivo e non repressivo, la norma che disciplina lo scioglimento degli Enti Locali per mafia, ancorché certamente perfettibile, si rivela necessaria nel contesto del nostro ordinamento, poiché si pone come strategico presidio avanzato di salvaguardia dell’espressione democratica della comunità di elettori. Lo scioglimento degli Enti Locali per mafia dovrebbe costituire un’extrema ratio tale da operare laddove gli altri strumenti a disposizione abbiano fallito e non siano riusciti, per l’evidente pervasività del fenomeno mafioso, ad eliminare il pericolo di contaminazione. La riflessione deve riguardare, quindi, tutto il sistema e non solo la singola norma, che comunque dovrebbe essere riformulata in modo da circoscrivere con maggiore rigore l’ambito dell’atto di alta amministrazione in oggetto, guidando così con maggiore fermezza coloro che sono chiamati a concretizzarla ed evitando che la discrezionalità scada in arbitrarietà”, ha spiegato Antonia Fabiola Chirico, autrice e avvocato del foro di Locri.

“La normativa in materia di scioglimento nasce nel 1991 a seguito dei cruenti fatti di Taurianova, primo comune sciolto in forza di questa legge. Si rese allora necessario dare una risposta poderosa e chiara a tutela delle comunità e condannare fermamente quanto accaduto. Questo il contesto in cui maturò l’introduzione delle misura straordinaria dello scioglimento degli organi elettivi degli Enti Locali per mafia. Così nel 1991 fu introdotto il decreto legge numero 164, poi convertito nella legge numero 221, che aggiunse l’articolo 15 bis alla legge 55/1990. Successive modificazioni furono apportate dalle leggi 108/1994 e 94/2009. Oggi la disciplina è interamente confluita nell’articolo 143 e ss. del testo unico degli Enti locali (decreto legislativo numero 267/2000). Un iter che tuttavia ci consegna una norma che meriterebbe dei correttivi per essere più efficace. Il commissariamento che ne deriva si presenta gravoso, anche dal punto di vista economico, per lo Stato e molto poco risolutivo”, ha sottolineato l’autrice Manuela Calautti, avvocato del foro di Locri.

“Esiste a mio avviso un problema di fondo che riguarda il metodo attraverso il quale viene processata l’informazione relativa alle presunte, più probabili che non, infiltrazioni del crimine mafioso nella gestione delle amministrazioni locali. Il linguaggio e il ragionamento alla base della normativa di riferimento sono infatti mutuati dal sistema processualpenalistico, pur avendo ad oggetto un atto di alta amministrazione e pur ponendosi nel nostro ordinamento giuridico come strumento preventivo e non repressivo. Ciò rende evidente uno sbilanciamento nel sistema: si incide in senso privativo e penalizzante senza assicurare, prima dell’adozione del provvedimento dissolutorio, alcuna garanzia difensiva in capo all’Ente destinatario della misura e senza imporre alla prefettura la prova di resistenza in forza della quale le condotte stigmatizzate si mostrino sintomatiche del fenomeno infiltrativo anziché di ipotesi patologiche disciplinate in via ordinaria. Se, dunque, le norme esistenti fossero maggiormente valorizzate e potenziate, la prevenzione sarebbe un meccanismo collaudato ed efficace e l’articolo 143 del Tuel non avrebbe motivo di esistere”, ha sottolineato l’autrice Teresa Parisi, avvocato del foro di Locri.

Tra riforma e abrogazione della normativa oscillano, dunque, le posizioni esposte e offerte all’animato dibattito seguito agli interventi, segno della particolate vitalità di una ricerca e di uno studio tesi a ricercare delle soluzioni che possano effettivamente supportare le amministrazioni locali che intendano prevenire questa piaga e tutelare le nostre comunità dal grave e mortificante fenomeno delle mafie.

“Sono profondamente convinto della necessità di una riflessione seria e di un dibattito partecipato su questo tema che così profondamente riguarda i nostri territori. È anche questa la sede per manifestare tutta la perplessità e i forti dubbi che nutro sull’attuale formulazione dell’articolo 143 del Tuel. Per quanto ascritta tra le misure preventive, nella sua concreta applicazione, la norma si presta ad essere percepita da chi la subisce, ossia dai Comuni, come una sanzione. La formulazione consta di maglie talmente larghe da consentire un’eccessiva elasticità nell’interpretazione e nella sua conseguente applicazione. Essa dovrebbe costituire un’extrema ratio ed invece, nell’attuale stesura, in ragione dei suoi effetti particolarmente penalizzanti e quindi molto affini ad una sanzione, sovente non si mostra in grado di dispiegare la sua portata effettivamente preventiva”, ha concluso il sindaco di Sant’Ilario dello Ionio, Giuseppe Monteleone.

Il dibattito è stato animato da alcuni interventi del pubblico tra i quali quello del sindaco di Roghudi Pierpaolo Zavettieri che ha posto l’accento sulla “necessità di contenuti concreti ed interventi risolutivi e percettibili dalle comunità alla base dell’azione di risanamento e ricostruzione della gestione dell’Ente Locale dopo lo scioglimento”. Da tempo impegnato con una articolata proposta di riforma, il primo cittadino di Roghudi si è soffermato sull’effettività dell’opera di risanamento alla quale sono sottesi lo scioglimento e il commissariamento e sulla necessità di specifiche norme per i comuni sotto i 5000 abitanti dove il numero esiguo dei dirigenti non consente, ad esempio, le rotazioni invocate in materia si anticorruzione.

Da destra Monteleone, Parisi, Calautti, Chirico, Cuzzola, Foti